Moda sostenibile

Il 2020 è stato un anno tragico anche per il mercato della moda e il duemila ventuno non si prospetta roseo, con la ripresa europea stimata per il secondo trimestre del 2022.
Eppure la sostenibilità, insieme alla digitalizzazione, è rimasta in cima alle agende di gruppi e fashion brand: un modo per uscire indenni dalle turbolenze del mercato e rafforzati da valori aggiunti.

In un momento in cui la sopravvivenza dei marchi dipende soprattutto da quanto sono reattivi nel proporsi online, con le vendite e-commerce quasi raddoppiate durante la pandemia passate dal 16% al 29% a livello globale, è altrettanto fondamentale cosa comunicare attraverso questi canali digitali. Il modo di fare shopping durante la pandemia infatti è drammaticamente cambiato, ma si sono radicalmente evoluti anche i fattori che motivano l’acquisto. Oggi conquistare clienti
significa soprattutto farli sentire parte di una comunità. Che si tratti di temi sociali, di inclusività o responsabilità ambientale, comunicare con i potenziali shopper è una questione di identità (oltre che di estetica) e passa attraverso i social, i mezzi più diretti e flessibili per andare dritti al cuore del grande pubblico. Un meccanismo in
evoluzione negli ultimi anni vertiginosamente accelerato dalla pandemia.

Un’esigenza sempre più sentita, non solo in termini di sostenibilità. Perché ridurre gli acquisti e concentrarsi su capi e accessori realizzati secondo certi standard qualitativi, sociali e ambientali non è solo una scelta etica, ma si è rivelata
una vera e propria esigenza in tempi di lockdown. «Le donne di solito amano quello che comprano, ma odiano i due terzi di ciò che è nei loro armadi»
Da dove iniziare? Prima di tutto, costruire un guardaroba sostenibile non significa fare tabula rasa di quello che si ha già. La sostenibilità è un percorso da affrontare col buon senso, a piccoli passi. Si tratta di aprire l’armadio, tirare fuori tutto e analizzare il proprio stile facendo la spunta di ciò che si mette e non, individuando i propri pezzi forti e irrinunciabili. Individuati i capisaldi del guardaroba sarà più facile escludere o includere quelli che si differenziano, e che possono restare per il gusto di rompere le righe con uno styling più azzardato.
Less is more non è solo un mantra di stile, ma anche un motto sostenibile, perché il problema della sovrapproduzione dell’industria della moda è strettamente correlato al cambiamento climatico, con il settore fashion tra i primi in classifica per emissioni di Co2 nel mondo.

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Neurofashion

In quale parte della mente viene generato il gusto per uno stile particolare?
La scienza afferma che il gusto del bello è un’evoluzione culturale e intellettuale dell’uomo. Abbiamo sentito parlare di neuroeconomia, neuromarketing, neuroreligione e persino di…. Neurofashion. Ecco, questi sono solo giochi di parole perché, in realtà tutto fa parte del nostro cervello.
Le neuroscienze studiano come funziona il nostro cervello e come si attuano i nostri comportamenti: applicandole alla moda ci raccontano i criteri, che spessano passano inosservati, secondo i quali facciamo le nostre scelte di moda. La percezione estetica è una qualità umana. Una delle poche cose che ci distingue dagli animali. La nostra neocorteccia ha creato la capacità di percepire la bellezza. La bellezza è un prodotto dell’evoluzione culturale del cervello. «Tutto intorno a noi sono forme e colori che cerchiamo e che ci piacciono. Quindi la moda nasce come necessità di soddisfare un piacere intellettuale. La neocorteccia non è unica per l’uomo, ma uguale per tutti i mammiferi. Ma la percezione estetica e l’astrazione sono solo dell’uomo e quindi delle domande:
Cosa ci rende umani?
Quali circuiti stanno cercando quel piacere?.
Ogni informazione che raggiunge il cervello è un cambiamento permanente. Il numero di neuroni è sempre lo stesso. È nato con una certa quantità, ma le connessioni tra questi neuroni cambiano costantemente: più leggi, studi e attivi la mente, più reti neurali crei, più interesse avrai. Il cervello, dal punto di vista delle emozioni, si trova nella tonsilla cerebellare e nel sistema limbico che sua volta è collegato alla corteccia frontale, ovvero la parte razionale.
Ma cosa succede quando vediamo qualcosa?
Gli stimoli attraversano prima il sistema emotivo. Quindi, quando percepiamo qualcosa, è già impregnato di una componente emotiva, proviamo già una certa sensazione nei confronti di quel preciso oggetto o persona. Ecco perché non acquisti l’auto più economica, ma quella che farà più invidia al vicino. La decisione è presa a partire da parametri emotivi e razionali, ma la spinta all’acquisto si basa maggiormente su impulsi ed emozione. Se così non fosse probabilmente ci vestiremmo solo per coprirci, utilizzando indumenti pratici e probabilmente tutti uguali. Dietro alle nostre scelte di moda c’è un legame affettivo, una sorta di fiducia che riponiamo sui capi d’abbigliamento come se questi ci offrissero una sorta di garanzia. È stato dimostrato che se dobbiamo scegliere tra due vestiti apparentemente identici, ma uno è firmato e l’altro non lo è, nella cultura occidentale, la maggioranza sceglierà quella firmata perché implica prestigio e differenziazione sociale.
La moda è un biglietto da visita, un modo di comunicare e la comunicazione, come la percezione della bellezza, ci distingue dagli animali. Con la moda trasmetti anche il tuo divario nell’ecosistema.

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